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Lo spiegone easy della Paris Fashion Week FW25-26

Ciaooo,

 

Nel precedente articolo ho parlato e analizzato di come e quanto alcuni brand della scena milanese, si siano interrogati e scervellati per farci sapere quale sia la loro definizione di femminilità e sensualità.
Sembra che l’interesse maggiore del sistema moda sia quello di dire a noi donne come essere femminili, bellissime o sensuali. In sintesi, come essere donne.

Come se essere donna fosse una definizione o un modo di essere definita. O che semplicemente si potesse definire.

Ogni brand ha questa ossessione nel definire qualcosa. 

I direttori creativi, si sentono sempre di dover attingere dell’heritage dei brand per presentare in chiave moderna qualcosa, una nuova visione, che poi è la stessa per la maggior parte delle volte, ma con colori diversi e materiali diversi.

Le eccezioni esistono, ovviamente, e si sono viste.

C’è anche chi ci mostra cosa sta succedendo nel mondo, prendendosi le critiche del fashion system per aver presentato una collezione senza senso o non interessante.

Sarà forse che abbiamo paura di accettare cosa ci circonda?

ALAÏA – Il corpo è tuo 

 

“Il messaggio riguarda la singolarità, l’individualità, la forza eterna e la resilienza delle donne, che le rafforzano attraverso i loro abiti. Questo ha sempre ispirato Azzedine e ispira sempre me: la forza della bellezza”.

 

Pieter Mulier, comunicato stampa Summer Fall 2025

 

Per chi ha avuto il piacere di studiare l’operato di Azzedine Alaïa non avrà nulla di ridire su quanto, da ormai quattro anni, sta facendo Pieter Mulier. 

Non voglio fare la lista di cose che accomunano i due, esistono già molteplici articoli che esplorano le somiglianze e le differenze fra Mulier e Alaïa, ma se cercando su internet la sfilata appena presentata, su cinque articoli tre criticano le tecniche e le scelte fatte da Mulier sulla sua direzione creativa, significa che non si ha il quadro completo della situazione.

“Non è ready to wear, è haute couture” è forse la frase che viene più utilizzata per descrivere la Summer Fall 2025. 

Scomponendo questa frase, e partendo dall’inizio: Alaïa stesso non voleva fare abiti Ready To Wear – l’idea è nata alla fine degli anni 80’ per poter continuare a sostenere le spese per la produzione della Haute Couture – non per rifiuto o disprezzo, ma per il suo concetto stesso di moda non era una scelta che poteva risultare troppo giusta e vincente. 

In secondo punto, la collezione presentata pochi giorni fa a Parigi è stata definita dal direttore creativo una Summer Fall (estate-autunno). Per il suo modo di creare, Alaïa non era solito organizzare le proprie sfilate all’interno del calendario canonico della moda, per questa ragione Mulier gode della libertà di poter fare quello che vuole, riferendosi alle stagioni che più preferisce.

La sfilata parte da un concetto semplice, ma caro alla maison: la fusione naturale fra moda e arte. Ispirandosi alle opere di Mark Manders – presenti all’interno dell’allestimento della sfilata – Mulier esplora la bellezza senza tempo degli abiti, che rendono le modelle presenti delle sculture che camminano. 

Gli abiti si muovono, si animano e danzano sul corpo delle modelle.

Il concetto di femminilità si concretizza attraverso l’esaltazione del vestito e della sua flessibilità fascinate ma allo stesso tempo libera e morbida sulla pelle.

C’è chi critica Mulier, o addirittura proprio il brand, per presentare tutte collezioni simili – se non uguali – da decine di anni, gli stessi codici e le stesse idee. Le collezioni presentate da Mulier, sono però delle fusioni perfette fra le costruzioni e l’heritage di Alaïa e la sua musealizzazione e esaltazione della figura femminile. 

Il brand non presenta sempre le stesse cose, è la cifra stilistica di Mulier che è estremamente simile a quella di Alaïa e perfetta per far funzionale questa collaborazione che dura dal 2021.

Il matrimonio perfetto, almeno fino ad ora. 

Alaïa FW25-26
Alaïa FW25-26

TOM FORD – Come ci si veste il giorno dopo 

 

A proposito di matrimonio perfetto, alla sua prima da Tom Ford, Haider Ackermann ha fatto centro nel cuore di tutti. Compreso quello di Tom Ford stesso, seduto e commosso in prima fila. 

Considerato da Karl Lagerfeld come suo “ideale successore”, a causa della sua grandissima abilità di spaziale fra i colori e l’abbigliamento maschile e femminile, il design franco-colombiano, aveva già brillato all’interno della collezione che aveva disegnato come Guest Designer nel 2023 per Jean Paul Gautier. 

I suoi studi e interessi per YSL, l’hanno portato ben presto a differenziarsi dai suoi colleghi per la maestria nell’utilizzo dei tessuti e per le grandissime abilità sartoriali. 

Nella FW25-26, Ackermann, mette in scena “La mattina dopo”. Per chi non ha ben chiaro quello a cui mi riferisco: all’interno delle collezioni di Tom Ford, sia del suo brand che da Gucci, vi era sempre questa aura di notte frenata, pazzia e sostanze vietate, che ha reso il brand quello che è oggi. 

All’interno della lettera scritta da Ackermann a Tom Ford per la sfilata, il designer franco-colombiano esprime proprio questa sua intenzione di intersecare e creare un mix perfetto fra loro due; mettendo in scena sia la notte sfrenata di Tom Ford che il suo mattino dopo.

Da qui nasce tutta la collezione: abiti da sera, abiti peplo – ripresa a Tom Ford che li riprendeva da Halston –  capi in pelle, mix fra bianco e nero che poi diventa color pastello – ripresa agli abiti creati da Freddie Burretti per David Bowie – concetto del guanto con la camicia e giacca che ricorda Karl Lagerfeld, fino ai tagli e spacchi che ricordano lo stile del brand. 

Il gioco fra maschile e femminile si ha in ogni look, il concetto alla base è proprio quello di giocare sul fatto che il mattino dopo l’uno attinge dall’armadio dell’altro per vestirsi. 

Ackermann ha messo in scena una sfilata che riporta Tom Ford all’interno del panorama della moda, in chiave moderna e più fresca.

Possiamo dire che abbiamo assistito proprio la ritorno di Tom Ford, brand e stilista.

Tom Ford FW25-26
Tom Ford FW25-26

ENFANTS RICHES DÉPRIMÉS (ERD) – La storia di un ricco figlio di papà annoiato.

 

Nel mondo in cui viviamo esistono persone che non hanno bisogno di interrogarsi su cosa fare nella loro vita, persone che non hanno mai avuto il problema di “non potersi permettere una cosa”, persone che hanno sempre avuto tutto con uno schiocco di dita. 

Non c’è nulla di male. Ma se hai già tutto, qual è il tuo scopo nella vita? Come passi le tue giornate? 

Henri Alexander Levy è uno di queste persone che non ha mai avuto bisogno di nulla, perchè aveva già tutto. È nel momento in cui però è arrivato a non avere nulla che ha dato vita a Enfants Riches Déprimés (bambini ricchi depressi). 

All’interno del suo brand, nato nel 2012 nel downtown di Los Angeles, Levy porta tutta quella retorica dei figli di papà annoiati che per avere quel brivido in più si mettono nei guai, finiscono in strade sbagliate, si dedicano ad attività sbagliate. Tutte cose che lui stesso ha vissuto in prima persona quando faceva parte di quella élite. 

In quella piccola fetta di gente Levy ci vive ancora, ed è proprio il suo target. Altrimenti le giacche da 5000€ non potrebbero mai essere sold out come sono adesso. 

All’interno di questa sfilata FW25-26, ERD ci porta in scena quello che sta succedendo nel mondo, con tanto di carro armato fatto di cartone in chiusura accompagnato da dei bambini. Simbologia a cui non serve una spiegazione.

Sui modelli presenti vengono raffigurate le direttrici dei collegi frequentati dai ricchi, gli studenti e le studentesse, le calze sono state strappate, i pantaloni macchiati, vengono raffigurati dei furetti al posto delle pellicce – proprio per criticare quel tipo di immaginario che ruota attorno all’indumento – e infine la sensualità si esalta talmente tanto da diventare oppressione. 

Non conoscevo il brand, è stata una scoperta che è avvenuta attraverso la mia pagina Tiktok fra i mille scroll di una sera piovosa. 

Cercando online per documentarmi sul brand, ho trovato pochissimo se non nulla. 

La reputo una grande mancanza di rispetto verso il lavoro fatto da Levy e il suo collettivo di persone.

ENFANTS RICHES DÉPRIMÉS FW25-26
ENFANTS RICHES DÉPRIMÉS FW25-26

BALENCIAGA – Tutti vogliamo essere i main character

 

La grande mente creativa di Demna ha colpito anche questa volta, destabilizzando tutti, prendendosi le critiche di alcuni e gli applausi di altri.

Demna o lo ami o lo odi. O lo capisci o lo critichi. 

A Demna piace sfidare, criticare, spostare le carte in tavola e creare un nuovo gioco in cui tu sei la pedina e lui è colui che ti sposta a suo piacimento. E poi ci costruisce una collezione sopra. 

Per la FW25-26 Demna ci ha resi tutti le pedine del suo gioco, e i personaggi sono i nostri stereotipi. 

I personaggi “Standard”, come una rosa, lo “Standard flower” per eccellenza – come testimoniato dalle molteplici scritte durante la sfilata – oggetto anche dell’invito mandato agli invitati della sfilata insieme ad un mini profumo. 

Nel mondo contemporaneo tutti vogliamo essere i main character, tutti proviamo ad esserlo almeno.

Il setting della sfilata è un labirinto asettico con le sedute nere, che raffigura il labirinto della vita, il quale ha un’inizio ma la fine devi trovarla tu. 

La sfilata si apre con un ragazzo perfettamente vestito con un completo elegante e camicia, il secondo ha solo il completo senza la camicia, il terzo ha il completo stropicciato e la borsa aperta, il quarto ha il completo stropicciato la borsa aperta e la camminata “cattiva” che contraddistingue le sfilate di Balenciaga e infine il quinto ha il completo bucherellato come se fosse stato smangiucchiato dalle tarme.

È un decrescendo dal perfetto al reale. 

Dal provare ad essere perfetti alla realtà sbattuta dritta in faccia come un pugno.

I personaggi che seguono sono la nostra rappresentazione: c’è la segretaria, l’appassionato di motosport –  con tanto di casco addosso –  la signora con la pelliccia – fake e quindi critica – e infine c’è il “maranza” con indosso una tuta, creata in collaborazione con Puma. 

Il concetto portato in scena è anche quello dell’utilizzo di una divisa per personaggio, un concetto che per ogni ambito si adegua, soprattutto in quello delle sottoculture – come nel caso dei maranza –  la divisa è la cosa più importante e che permette di differenziare una sottocultura dall’altra. 

Non mancano le rappresentazioni anche del mondo queer, di chi è appena uscito da una serata, di chi al mattino dopo torna a casa con i vestiti stropicciati, il trucco sbavato e gli occhiali da sole per proteggersi da occhi indiscreti inscenando la cosiddetta “walk of shame” (camminata della vergogna).

A questa stereotipizzazione va aggiunto anche l’utilizzo dell’accessorio che più che mai nel 2025 è essenziale: il cellulare. Rigorosamente come se fosse un’estensione naturale del nostro braccio.

Anche questa volta, con un pizzico di verità e un gran pizzico di ironia e presa in giro, Demna ci dona una fotografia di quello che sta succedendo nel mondo, e lo fa attraverso i nostri abiti di tutti i giorni, mostrandoci quei corpi sbilenchi e confusi che noi non vogliamo vedere, ma che in realtà è il nostro riflesso.

Balenciaga FW25-26
Balenciaga FW25-26

VALENTINO – È il suo stile

 

Una della critiche più in auge sull’ultima collezione di Valentino è proprio quella che dice che la collezione sembra essere una collezione di Gucci durante l’era di Alessandro Michele, attuale direttore creativo del brand romano. 

Quello che però non è chiaro è che questo è lo stile di Alessandro Michele. 

I casting fatti da modelli con caratteristiche non convenzionali – ma che per lui lo sono – l’utilizzo massimalista dei gioielli, la storicità dietro ogni creazione, le sovrapposizioni degli abiti e i richiami ad altre culture, sono tutti i pezzi che compongono il puzzle dello stile del designer. 

Alessandro Michele rimane uno dei pochissimi stilisti acculturati rimasti, capaci di portare con sé tutta una serie di caratteristiche e riferimenti. 

All’interno del “Meta teatro dell’intimità” Michele mette in scena una collezione co-ed (maschile e femminile) caratterizzata da gonne, abiti con ruches, colli di pelliccia, Vans ai piedi e tailleur, stratificati e destrutturati. 

Non esiste nulla di più intimo di un vestito, in quanto esso riesce a metterci completamente a nudo o completamente al sicuro. Ci raffigura in un qualunque modo noi vogliamo. 

La location scelta è L’Institut du Monde Arabe, un gioiello architettonico progettato da Jean Nouvel e inaugurato nel 1987, che ha la caratteristica di essere completamente ricoperto da quadrati in metallo decorati come merletti, i quali non permettono di guardare all’interno del palazzo.

Se già il luogo stesso è intimo e privato, l’ambientazione della sfilata lo è ancora di più: un bagno pubblico Rosso Valentino, che ricorda anche i bagni del Gucci Garden di Firenze, progettati proprio da Michele.

Il bagno è uno, se non il, luogo di intimità più profonda, per mille motivi diversi. E Michele ci aggiunge l’ultimo, quello del mondo binario, argomento attuale più che mai al giorno d’oggi e perfettamente coerente con la sua filosofia. Fra i modelle che vediamo c’è infatti anche il debutto di Kai Schreiber, figlia di Naomi Watts, definita dai più esperti del fashion system come la futura erede di Alex Consani. 

Le modelle e i modelli entrano “in scena” uscendo dai bagni, percorrendo la passerella, specchiandosi negli specchi riposti nel percorso, non curandosi di chi li guarda. Tutto accompagnato dalla voce di Lana Del Rey che canta Gods & Monsters (2012). 

“Per ogni collezione mi riprometto di fare qualcosa di più semplice. Ma non ci riesco” sono le parole che lo stesso Alessandro Michele ha detto a fine sfilata.

Come precedentemente detto per Demna, in quanto siamo sullo stesso filone, Alessandro Michele o lo ami o lo odi.

Valentino FW25-26
Valentino FW25-26

MIU MIU – Non dovrebbe vedersi il reggiseno 

 

Capelli cotonati biondo platino, styling anni 50’ e colori neutri che diventano accesi come il verde o il giallo, questo è quello che ci mette in scena Miuccia Prada per la FW25-26 di Miu Miu.

A primo acchito sembra un’incubo, ci sembra di essere tornati indietro di 60 anni, quando le pubblicità dei prodotti per la casa raffiguravano solo donne con il grembiule intente a pulire ogni centimetro, il cui  unico compito era quello di badare ai loro figli e fare tutto quello che suo marito voleva. 

Non è questo quello che ci ha rappresentato Miuccia Prada. Tutt’altro. Perchè se c’è qualcosa che la Signora della moda sa fare meglio di tutti è quello di creare una collezione che faccia parlare, indignare e amare ogni minimo prodotto presentato.

Anche in questo caso, come due settimane fa per Prada, la Signora ci richiede “Qual è il concetto di femminilità?”. La risposta è sempre la stessa, non c’è.

Già vi vedo storcere il naso, che bisogno c’era di rifare un’altra collezione per dirci la stessa cosa che è già stata detta all’interno dell’altro brand di cui è direttrice creativa? Cari miei polli, non conoscete Miuccia Prada allora e il suo essere camaleontica. 

Le donne rappresentate non sono le donne che ho precedentemente spiegato, hanno le sembianze estetiche delle donne degli anni 50’, ma sono teatrali grazie ai loro gioielli in oro e le loro spille, ostentano la loro pelliccia in modo consapevole e sfacciato, indossano le loro giacche corte o i loro blazer oversize giocando con le proporzioni e i mix di materiali.

Il punto focale della collezione è però il reggiseno, l’indumento proibito che per nulla al mondo si deve vedere, deve essere nascosto, ma Miuccia Prada gli dona la vita. 

Spunta dai maglioni, diventa di cotone o in raso, fino ad assumere le sembianze di due coni, proprio come quello indossato spesso da Katy Perry o reso famoso alla fine degli anni 80’ da Jean Paul Gautier e Madonna.

Vengono messi in scena i classici paradossi  fra quotidiano e sensuale e rigore e provocazione. 

Miuccia Prada ci gioca, ci scherza, ci prende in giro e ride di noi che ci caschiamo come polli.

E in tutta questa “falsa definizione di femminilità” c’è spazio anche per gli uomini, che vengono raffigurati sia con il loro abbigliamento “classico da macho” sia vestiti come delle donne degli anni 50’. 

Anche qui Miuccia Prada si prende il diritto di non definire cosa è maschile e cosa non lo è, perchè non c’è una definizione di femminile e di conseguenza non può esserci di maschile.

È come nel caso delle donne, un costrutto sociale creato per essere etichettati come X. 

Miu Miu FW25-26
Miu Miu FW25-26

Arrivati alla fine del fashion month e volendo tirare la somme, penso che il punto più centrale di queste settimane di sfilate sia l’ossessione, traslata in mille differenti ambiti.

Siamo ossessionati da tutto, perchè essenzialmente siamo pieni di tutto.

Ci disintossicheremo mai? Boh.

 

Bacini, Alisia <3. 

Fotografia scattata da Francesca Scandella. @Scandysss

EFFE3 è il magazine dove calcio, moda e femminismo si uniscono.
Che tu non faccia parte di uno di questi tre mondi non significa che non ti riguarda.

 

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